Perché non ragionare in modo probabilistico danneggia la nostra economia? E non solo!

Come Interpretiamo il Mondo attorno a Noi?

Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un’interessante vignetta di un disegnatore inglese che tradotta suonava così:

Abbi fede nella scienza è l’affermazione più antiscientifica che si possa mai sostenere. Mettere in dubbio la scienza è il modo in cui procede la scienza.

In questi tempi cupi, immersi in quella gigantesca crisi sociale chiamata pandemia da Sars-Cov-2 – l’emergenza sanitaria da sola non spiega il dramma sociale in atto – abbiamo sentito più volte questo adagio: “Bisogna avere fiducia nella scienza…

Condivido appieno la frase dell’amico fumettista perché la scienza è effettivamente mettere in discussione tutto, non accettare con fede una teoria. Se una teoria non può essere confutata non è scienza è dogma, insegnava il buon Karl Popper.

Purtroppo, in un sistema-mondo dove l’università non insegna più le competenze è facile cadere nei tranelli e lasciarsi trascinare da argomentazioni astruse, anche per coloro che si sono elevati ai più alti livelli di istruzione; non a caso abbiamo medici che sono contrari ai vaccini.

La cosa più sorprendente, poi, è quando anche chi di scienza vive e insegna, propina teorie bizzarre come “la scienza dice come è fatto il mondo” invece di ammettere che “la scienza non dice come è fatto il mondo ma ciò che noi sappiamo del mondo fino a quel momento”.

Il che fa una bella differenza!

Giudizio Critico

Lasciarsi andare a facili conclusioni è purtroppo una delle nostre fallanze. Non siamo perfetti e ci lasciamo attrarre dalla facilità di certi ragionamenti, per la verità molto poco ragionati. Talvolta basterebbe riflettere quanto bizzarre siano certe affermazioni per non cascarci. Bisognerebbe mettere in pratica il cosiddetto giudizio critico, ovvero, valutare e soppesare prove e argomenti e giungere a un giudizio su di essi.

Un tempo si insegnava che la filosofia altro non è se non valutare la fondatezza di ciò che conosciamo. Qualcuno lo insegna ancora?

Se facessimo tutti così, le teorie del complotto rimarrebbero probabilmente relegate alla letteratura romanzesca.

Il problema, però, è che spesso cediamo a ragionamenti semplicistici nella nostra quotidianità, sia nella pratica lavorativa che nella visione che abbiamo della società. I pregiudizi innescati da queste argomentazioni puerili hanno conseguenze devastanti sia a livello sociale che economico.

I pregiudizi sono di per sé errori di visione e fattori complementari di violenza.

Qui affrontiamo il discorso sul piano economico e sulle conseguenze che l’illogicità comporta nella gestione delle nostre imprese. Lo facciamo mettendo in evidenza il nostro modo di pensare fallace, ragionando su problemi concreti e prendendo spunto dalle osservazioni interessanti di un giovane scienziato polacco.

Troppo spesso nelle nostre aziende armeggiamo con numeri che riteniamo incontrovertibilmente esatti – e spesso lo sono – ma il problema è che non sappiamo “ascoltare” cosa ci dicono.

Sommare entrate e uscite, fare la differenza, calcolare imposte etc. è certamente utile ma non ci dice qual è il grado di efficienza della nostra azienda, non ci dice nemmeno come si compara la nostra attività con la concorrenza e tante altre cose che sono necessarie per prendere le decisioni giuste.  

Il cervello umano non elabora molto bene le probabilità.

Purtroppo, è così. Il nostro cervello ci inganna spesso.

Al riguardo, ho avuto modo di leggere e apprezzare i lavori di un giovane scienziato polacco, Michal Oleszak, con il quale sono entrato in contatto.

In uno dei suoi lavori, Oleszak tratta “dell’importanza del pensiero di Bayes nella vita quotidiana”.

Bayes? Chi era costui?

Thomas Bayes era un filosofo e statistico inglese vissuto nel XVIII secolo, noto per aver elaborato un teorema che spiega il calcolo di probabilità condizionata di un evento, detta “a posteriori”, alla misura di probabilità dello stesso evento, detta “a priori”..

Pertanto, nella teoria della probabilità e in statistica, il teorema di Bayes, descrive la probabilità di un evento, basata sulla conoscenza delle condizioni precedenti che potrebbero essere correlate all’evento stesso.

La formula del teorema sembra alquanto complessa per un profano ma in realtà non lo è:

P(A|B) = P(B|A) * P(A) / P(B)

A e B sono gli eventi possibili

P(A|B) è la probabilità che accada A dato B come vero

P(B|A) è la probabilità che accada B dato A come vero

P(A) e P(B) sono le probabilità indipendenti di A e di B

Quindi, la formula qui sopra è una formula matematica per determinare la probabilità condizionata. La probabilità condizionata è la probabilità che si verifichi un risultato in base al verificarsi di un effetto precedente. Il teorema di Bayes ci offre uno strumento potente per rivedere le previsioni o le teorie esistenti date prove nuove o addizionali.

È quello che ogni giorno fanno gli scienziati nei centri di ricerca. Questa teoria è applicata anche nel mondo della finanza per valutare il rischio di prestare denaro a potenziali mutuatari.

Ancora, possiamo dire che, il teorema di Bayes indica qual è la probabilità di una causa che ha provocato l’evento.

Pensare in modo probabilistico è innaturale

Come detto, il nostro cervello non è fatto per pensare in modo probabilistico. Qui entra in gioco la visione di Oleszak, da me condivisa appieno.

Oleszak definisce i nostri cervelli come delle “macchine folli” che vanno alla ricerca di schemi che vedono la causalità dove non esiste e ci inducono a credere alla versione degli eventi che è più congeniale alle nostre convinzioni distorte sul mondo.

Sotto questo aspetto, un libro interessante da leggere è La realtà non è come ci appare, di Carlo Rovelli, 2014, Raffaello Cortina Editore.

Oleszak propone il famoso problema di Linda per mettere in luce questo aspetto.

Linda è una giovane diplomata in una scuola d’arte, vive in una grande città e si identifica come una di sinistra.

Cosa è più probabile che sia Linda?

a) – Un vigile del fuoco.

b) – Un vigile del fuoco e si batte per i diritti delle donne.

Ora, non sono molte le donne che fanno il vigile del fuoco, inoltre non è la carriera più naturale per una diplomata di una scuola d’arte.

Molte persone rispondono a questo problema dicendo che è altamente probabile che Linda sia un vigile del fuoco impegnata a battersi per i diritti delle donne, perché pensano che questo sia congeniale con la visione del mondo di una persona di sinistra che ha frequentato una scuola d’arte.

Ma cosa fa dire ciò? Quale dato possiamo ricavare per determinare questa probabilità? Assolutamente nessuno!

Aggiungere l’affermazione che Linda “si batte per i diritti delle donne” fa sembrare l’asserzione più probabile solo per via di un inganno non per via di un dato statistico. L’inganno qui è dato da un nostro pregiudizio; messa così, la storia ci suona meglio.

Sembra che il nostro cervello ignori completamente il fatto che la congiunzione di due probabilità semplicemente non può essere più grande di ciascuna di esse isolatamente. Più probabile rispetto a cosa?

Inganno su inganno

La dura battaglia tra le varie fazioni in campo riguardo il Covid-19 – a favore, contro, negazionisti, etc. – traccia una lunga scia di questi facili inganni del cervello. Talvolta, bisogna ammetterlo, gli errori sono anche da parte dei sostenitori del vaccino, i quali, poco esperti e avvezzi al ragionamento logico, divulgano notizie imprecise dando facile appiglio ai detrattori e ai complottisti.

L’esempio del numero di ricoverati nei reparti Covid tra le persone che hanno ricevuto il vaccino è uno di questi argomenti scottanti.

Talvolta questo numero è alto, perciò molti concludono semplicisticamente che i vaccini non funzionano.

Quello che non riescono a vedere – e qui sta l’inganno sull’inganno – è che quel numero di ricoverati vaccinati è alto perché la percentuale di persone vaccinate è alta. I vaccini non danno una protezione al 100%, nessuno ha mai detto questo. Se volete sapere come funzionano i vaccini leggete questo articolo.

Alcuni tra i vaccinati si ammalano gravemente, infatti, ma è una piccola percentuale del numero totale di vaccinati.

Ancora una volta, non guardiamo il mondo per come è: un insieme di relazioni e di probabilità.

Bayes e le Probabilità

Ritorniamo a Bayes e alla puntuale intuizione di Oleszak.

Per quanto possa sembrare strano non esiste una definizione di probabilità che soddisfi tutti. Questo non sorprende certamente chi è abituato agli studi accademici. Non esistono definizioni – se non forse veramente poche – accettate come tali da tutta la comunità scientifica, perché non esiste nessuna scienza che non implichi una visione del mondo. Pensare il contrario è infantile e ingenuo.

In linea generale, esistono due accezioni del concetto di probabilità che sono accettate.

  1. La probabilità è la frequenza osservata di un dato evento lungo una serie di esperimenti.
  2. La convinzione soggettiva di un individuo su quanto sia probabile che accada qualcosa è essa stessa una probabilità.

La prima definizione è detta anche probabilità frequentista, ed esprime la frequenza che un evento accada in un gran numero di esperimenti. Il lancio di una moneta, ad esempio. Più lanci effettuiamo, più le frequenze osservate diranno che la probabilità è vicina a 50% testa e 50% croce. Dire che una probabilità è pari al 50% significa dire che assume valore pari a 0,5.

La seconda definizione, invece, è detta soggettiva o bayesiana. Se infatti dico che penso ci sia il 50% di probabilità che domani piova, lo faccio su una supposizione ma non su un’osservazione, come potrei fare molte osservazioni di ciò che accadrà domani?

Noi ci troviamo in un mondo incerto, non possiamo prevedere le cose e la scienza altro non è che probabilità. Il mondo è fondamentalmente probabilistico non deterministico.

Mettiamo in pratica il teorema di Bayes relativamente a un problema noto in statistica, il problema del sesso dei figli del signor Rossi.

Il signor Rossi ha due figli. Sappiamo che almeno uno di loro è maschio. Qual è la probabilità che entrambi i figli siano maschi?

Le nostre ipotesi sono tutte le possibili combinazioni dei generi dei figli del signor Rossi, ovvero:

  1. due maschi,
  2. due femmine,
  3. maschio e femmina
  4. femmina e maschio

Ogni combinazione è ugualmente probabile prima di conoscere qualunque informazione, perciò, per ciascuna combinazione la probabilità è uguale a 0,25 (25%).

Però, in questo caso, sappiamo che almeno uno dei figli è maschio. Questo è probabile al 100% per tutte le combinazioni tranne la numero 2 (due femmine) la cui probabilità è 0%.

Perciò, la probabilità che entrambi siano maschi è 1/3; esclusa la 2, rimangono infatti 3 combinazioni.

Torniamo al Covid

Oleszak riporta un esempio pratico molto attuale di questi tempi che ci aiuta a capire meglio come funzionano i testi COVID.

Lasciamolo spiegare.

Recentemente ho fatto il test contro il Covid-19 e il risultato è stato negativo. Non appena l’ho saputo, ho iniziato a pensare cosa significasse effettivamente. Dopotutto, i test a volte sbagliano e non volevo certamente diffondere il virus.

Ci sono due modi in cui i risultati dei test potrebbero essere sbagliati. Uno è lo scenario falso negativo in cui il test non riesce a rilevare il virus della persona sottoposta al test. L’altro è il falso positivo, il che significa che il risultato del test è positivo mentre la persona testata è in realtà negativa. Quali sono le probabilità?

Proviamo a scoprirlo mettendo in pratica la teoria di Bayes.

Per prima cosa, dobbiamo raccogliere alcune informazioni di base. Cominciamo con le informazioni a priori. Qual è la probabilità di essere infettati? Ho calcolato questa probabilità dividendo il numero di persone attualmente infette nel mio paese, come riportato dal Ministero della Salute, per la popolazione totale. Questa approssimazione grossolana dà una probabilità di 0,0168 di essere infettato da Covid-19 nel mio caso. Questo semplice approccio ignora completamente la vaccinazione e altre circostanze, ma per ora manteniamoci su questo scenario.

Successivamente, ho approfondito la questione con i dati riportati nel risultato del test. Il certificato riporta che la sensibilità del test è del 97% e la sua specificità è del 99,1%. La sensibilità misura la capacità del test di rilevare correttamente il virus; quindi, il 97% delle persone infette riceverà un risultato positivo e il 3% avrà un risultato negativo. La specificità misura la frequenza con cui il risultato del test è negativo nelle persone sane, il che significa che nello 0,9% (100 – 99,1) dei casi una persona sana riceverà un risultato positivo.

Riassumendo dunque i numeri in gioco, come descritto sopra, in base al teorema di Bayes sono i seguenti:

[“Sano”, “Malato”],
[1 – 0,0168, 0,0168],
[0,991, 0,03]

Pertanto, avremo questo risultato statistico

IpotesiA prioriProbabilitàA posteriori
0 Sano0,9832 (1 – 0,0168)0,9910,999483
1 Malato0,01680,0300,000517

Visto che i numeri sono questi, Oleszak conclude:

Sembra che possa essere abbastanza sicuro di essere sano. Inoltre, se tenessimo conto del fatto che sono relativamente giovane e vaccinato (quindi, dividiamo il risultato precedente per due: 0,0168/2 = 0,0084), la probabilità a posteriori di essere in buona salute aumenterebbe a 0,999744. L’aumento non è molto grande, poiché il risultato a priori (precedente) non gioca un ruolo importante nel calcolo del risultato a posteriori; piuttosto, il posteriore è determinato dalle informazioni (dati, ovvero probabilità), il che è positivo, poiché rende i risultati affidabili alla specifica scelta precedente. Anche supponendo che metà della popolazione sia infetta, il risultato sarebbe superiore al 97%.

E se il risultato fosse stato positivo?

Includiamo l’età e il fatto di essere vaccinati.

I numeri in gioco, in base al modello di Bayes, sono i seguenti:

Sano: 1 – 0,0084, 0,0084; Malato: 0,009, 0,97

[“Sano”, “Malato”],
[1 – 0,0084, 0,0084],
[0,009, 0,97],

IpotesiA prioriProbabilitàA posteriori
0 Sano0,9916 (1 – 0,0084)0,0090,522738
1 Malato0,00840,9700,477262

Qui notiamo un risultato del tutto contro-intuitivo. Anche se il test ottiene un punteggio del 97% e del 99,1% sulle due metriche di accuratezza, la probabilità di ammalarsi, dato il risultato positivo, è in realtà inferiore a quella di essere sani! Tuttavia, questo risultato è piuttosto sensibile al precedente. Se avessimo usato il dato precedente, quello “globale” iniziale di 0,0168, il posteriore sarebbe il 65% malato e il 35% sano. In ogni caso, non sei condannato anche se sei positivo. Questo è tipico di molti test medici ed è per questo che un risultato positivo in genere porta il medico a ordinare un nuovo test.

La lezione da trarre da questo esempio è che i nostri cervelli cadono vittime di un errore comune: quando sono esposti a una percentuale estrema, grande o piccola che sia, analizzano semplicemente l’entità della percentuale e ignorano il numero totale.

Pensiamo ai numeri nella loro totalità

Ragionando sui numeri totali, questa evidenza si rende molto più chiara.

Abbiamo infatti che solo lo 0,9% delle persone sane risulta positivo. Quindi, ogni 10.000 persone, 9.832 sono sane e lo 0,9% di esse, quelle potenzialmente malate, sono pari a 88 individui. Allo stesso tempo, su 168 persone malate, 163 di loro (97%) risulteranno positive. Quindi il risultato positivo del test è di circa due volte più probabile tra i malati che tra i sani (163 contro 88).

Bene, le argomentazioni di Oleszak sono piuttosto convincenti e la sua applicazione del teorema di Bayes lo dimostra in modo puntuale.

Quindi, cosa succede quando prendiamo una decisione importante in campo lavorativo?

Abbiamo chiaro tutti gli elementi che entrano in gioco? Siamo sicuri che i numeri che vediamo sono quelli che dobbiamo considerare? O meglio, siamo certi che stiamo calcolando nel modo puntuale e che quindi i risultati sono quelli che ci permettono di venire a capo dei problemi reali?

Qui i pregiudizi è facile che si ammassino a formare immense galassie di inattendibilità e giganteschi buchi neri in cui è facile cadere nell’inganno e creare scenari ben lontani dalla realtà.

Nel prossimo articolo che pubblicherò, darò alcune di queste soluzioni basate su parametri realmente importanti quali ad esempio il calcolo del tasso di efficienza delle prestazioni aziendali.

Fornirò un esempio con un file Excel dove discuteremo, sulla base di un modello contabile, quali sono gli indici da considerare per il calcolo delle efficienze.

Conclusione

Detto in maniera diretta, fermarsi alla superficie delle cose non ci aiuta a capire come sono fatte le cose. Il fatto che ragionare sia senz’altro molto più difficoltoso che non prendere per buono la visione semplicistica dei fenomeni non significa che dobbiamo rinunciare a comprendere.

Se mi soffermo a considerare semplicemente i numeri che compaiono nel bilancio della mia impresa, mi arrenderò facilmente – magari con una certa rassegnazione – all’evidenza di quei numeri senza però poter prendere le giuste decisioni per apportare i necessari miglioramenti.

Sapere che incasso 100 e spendo 30 può anche rendermi felice ma non mi dice niente sui rischi e sulle misure da prendere nel caso quei rischi si presentino.

Esiste nel mondo d’oggi qualcuno che può permetterselo?

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