Processi Aziendali e Interazioni Umane: Razionalità e Irrazioanalità
Con questo articolo inauguriamo una nuova serie che tratta della gestione dei processi nelle imprese e le interazioni tra questi e il personale.
Per processi aziendali intendiamo, ovviamente, tutte quelle prassi che riguardano i flussi organizzativi, di gestione, amministrazione, commerciali, marketing, comunicazioni interne ed esterne.
Per fare ciò ogni azienda si organizza con una serie di strumenti tecnologici, con procedure standard e proprie che definiscono ruoli e compiti, conferiscono progetti e responsabilità dando vita a quel complesso sistema chiamato impresa.
I processi aziendali devono avere un carattere di razionalità e perché ciò avvenga è necessario che siano eseguiti in base ad un certo metodo che implichi una certa logica affinché gli obiettivi proposti garantiscano i risultati attesi.
Le metodologie impiegate, anche quando è fatto largo uso di strumenti ad alta tecnologia e di applicazioni software sofisticate, non possono mai prescindere dai comportamenti umani. Dire che le aziende sono fatte di persone, le quali interagiscono con altre persone interne ed esterne all’impresa, sembra del tutto superfluo; tuttavia, non lo è affatto. Nella pratica quotidiana capita spesso di imbattersi in dirigenti e titolari d’azienda che ignorano – sic! – che il rigore razionale dello strumento tecnologico può essere inteso diversamente a seconda dell’operatore umano che ne faccia uso.
Si tratta sempre di un problema di approccio non tanto del singolo operatore quanto invece della modalità con cui l’azienda progetta e concepisce il suo flusso organizzativo.
Ciò che va ricordato, sempre, è che il fattore umano non solo deve essere preso in considerazione, deve anche essere capito che non è possibile irrigidire il comportamento delle persone in base a schemi logici soprattutto quando le persone non si sentono parte attiva di quel processo. Nessun comportamento umano sarà mai esattamente schematico e scontato come un algoritmo.
Il fattore umano quale elemento di irrazionalità.
Cominciamo questa serie dedicata ai processi aziendali e alle interazioni umane raccontando una storia che servirà come riferimento del nostro argomento. Mi piace raccontare questa vicenda perché è l’emblema di come i comportamenti umani determinino le sorti degli eventi riguardanti la nostra storia, malgrado ogni preordinazione, rigore scientifico e controllo.
Se vi chiedete cosa abbia a che fare questa storia con gli aspetti relativi ai processi aziendali – quindi come rendere questi organici e sistematici all’interno dei flussi di lavoro di un’impresa – vi renderete conto che aderisce perfettamente, perché il punto saliente è come conciliare gli aspetti razionali necessari per ordinare e ottimizzare la gestione dell’impresa, con l’innata tendenza verso l’irrazionale delle persone.
Tutto ciò fa parte del mio lavoro quotidiano da alcuni decenni. Nella mia attività di formazione nei confronti del personale – inclusi dirigenti e titolari – di varie aziende, ho potuto constatare che la direzione – e in generale il management – richiede che il personale si adatti a certe prassi anche se non ne ha compreso realmente l’utilità. Questo è un male endemico nella piccola e media impresa in Italia; in misura minore, ma non del tutto assente, ho potuto riscontrarlo presso aziende inglesi e americane.
La storia breve.
La storia breve è presto detta. Negli anni ’90 del secolo scorso, una società finanziaria americana, la Long-Term Capital Management, conosciuta anche come Long Term o LTCM, cominciò a fare operazioni finanziarie sui derivati basandosi sui modelli matematici sviluppati appositamente da alcuni studiosi. Due di questi illustri accademici vinceranno anche il premio Nobel per l’economia nel 1997. Questi modelli si basavano sulla assoluta prevedibilità – data dalle equazioni matematiche – dell’andamento di certi prodotti finanziari nel mercato. Per un certo periodo le cose andarono più che bene, i rendimenti erano così elevati che tutti a Wall Street volevano entrare nell’affare. Tuttavia, i modelli si dimostrarono del tutto inaffidabili quando il mercato presentò problemi di instabilità, fino a decretare il fallimento della LTCM e quindi il fallimento della teoria che voleva che i mercati finanziari fossero oggetti comprensibili attraverso rigidi modelli logici trascurando del tutto il comportamento umano.
La storia lunga invece comincia da qui. Buona lettura.
Il Premio Nobel per l’Economia del 1997
Nel 1997 il Nobel per l’economia fu assegnato a due studiosi nordamericani, Robert Merton e Myron Scholes.
Merton (1944) è un economista statunitense, professore al MIT presso la Sloan School of Management.
Scholes (1941) è un economista canadese-americano, professore emerito di finanza presso la Stanford School of Business.
Entrambi vinsero il Nobel con la motivazione “Per avere ideato un nuovo metodo per determinare il valore di strumenti derivati“.
Scholes, insieme ad un altro economista americano, Fisher Black (1938 – 1995), aveva concepito la famosa equazione Black-Scholes, la quale consiste in un modello matematico che predice l’andamento dei derivati nel mercato finanziario. Dato che anche Merton aveva studiato questa opzione, questo modello è anche noto come modello di Black-Scholes-Merton.
Il modello tiene conto dell’andamento nel tempo del prezzo di certi strumenti finanziari, in particolare delle cosiddette options. L’equazione differenziale ideata da Black e Scholes già nel 1973, i quali presero spunto da studi di Merton e Paul Samuelson (1915-2009 – anche egli premio Nobel per l’economia nel 1970), presenta una particolare intuizione, ovvero, che il prezzo di un titolo derivato è implicitamente ricavabile se il titolo sottostante è scambiato sul mercato.
Cosa sono le options.
Le options, anche conosciute come stock-options, o anche nella traduzione italiana “opzioni”, consistono in un contratto che dà all’acquirente il diritto, ma non l’obbligo, di acquistare o vendere un’attività o uno strumento sottostante ad un prezzo di esercizio precisato prima o in una data specifica, a seconda della forma dell’opzione stessa. Le options sono anche chiamate derivati asimmetrici perché, a differenza dei titoli derivati, il possessore ha il diritto di recedere. Vale a dire, il possessore non è obbligato ad acquistare e nemmeno a vendere lo strumento finanziario sottostante – cioè l’attività da cui dipende il derivato – ma può farlo se esercitando l’opzione ne trae un’effettiva convenienza economica.
La razionalità prevale. È proprio così?
In breve, possiamo dire che gli studi di Merton, Scholes e Black – che però morì nel 1995 e non ebbe modo di ricevere alcun riconoscimento – portarono alla creazione di questo modello matematico in grado di predire l’andamento di questi strumenti nel mercato finanziario. Il modello non tiene conto di aspetti insiti nel comportamento umano perché questa teoria sostiene che il comportamento umano non ha nessuna influenza su questo tipo di movimenti finanziari.
La storia però non finì tanto bene.
Ecco come il famoso hedge fund ‘Genius’ quasi causò un tracollo finanziario globale.
Negli anni ’90 del secolo scorso, un hedge fund di trading obbligazionario crebbe così tanto da superare i 100 miliardi di dollari in meno di tre anni. Questo fondo prendeva il nome di Genius ed era appunto di proprietà della LTCM. Già il nome era tutto un programma! Il fondo restituiva rendimenti annuali di oltre il 40 percento ed era gestito da veterani della finanza, studiosi e luminari della scienza economica, tra cui i nostri due Nobel. A Wall Street ne erano entusiasti e investivano con convinzione ricavandone lauti guadagni.
Ma già nel 1998, dopo solamente un anno dal premio Nobel assegnato a Merton e Scholes, cominciarono i primi scricchiolii. Si paventava un rischio di insolvenza per le maggiori banche americane pari a oltre 1 trilione di dollari. Cifre che più che da capogiro potremmo definire da terrore!
L’origine di questo default era proprio il fondo Genius.
La società che gestiva il fondo, la Long-Term Capital Management (LTCM) perdette qualcosa come 4,4 miliardi di dollari su un capitale totale pari a 4,7 miliardi. Non c’è che dire, il loro modello matematico aveva funzionato a meraviglia!
Questa storia è raccontata in modo esemplare dal giornalista finanziario americano Roger Lowenstein in un libro intitolato “When Genius Failed”, qui lo trovate per Kindle. Se siete appassionati di finanza vi consiglio di leggerlo.
La LTCM, per un certo periodo, aveva snobbato e perfino manipolato le banche, convinta di avere in mano un metodo infallibile per dominare il mondo della finanza. Quelle stesse banche, ora, chiedevano la testa di questi geni finanziari alla disperata ricerca di un salvataggio da oltre 4 miliardi di dollari.
Giusto per capire quali banche erano entrate in questo grande cortocircuito ve ne cito alcune: Bear Stearns, Salomon Smith Barney, Bankers Trust, JP Morgan, Lehman Brothers, Chase Manhattan, Merrill Lynch, Morgan Stanley e Goldman Sachs. Che ne dite? Non proprio gli ultimi arrivati.
Per fortuna, alla fine intervenne la Federal Reserve e salvò una situazione che avrebbe potuto trascinare il mondo intero in una crisi epocale molto peggiore di quella che sarebbe avvenuta 10 anni dopo nel 2008. Ma la Federal Reserve non fu l’unico attore che salvò la situazione, sebbene quello di maggiore importanza e quantità.
La razionalità matematica vs il senso umano dell’irrazionale. Come tutto ebbe inizio.
Al di là dei parallelismi con l’argomento del nostro discorso – come conciliare la razionalità dei processi aziendali con l’irrazionalità umana – questa è una storia avvincente che, come sottolineato da alcuni economisti e sociologi americani, è una vera e propria lezione di Storia.
Tutto ebbe inizio quando John Meriwether (1947), un rampante finanziere americano, dopo la laurea in economia presso l’Università di Chicago, si trasferì a New York, dove cominciò a lavorare per Salomon Brothers nel 1974.
La Salomon Brothers era una banca di investimenti fondata nel 1910 che nel 1998 – a seguito della crisi scatenata da questa sconvolgente vicenda – fu acquisita da Travelers Group e quindi entrò nella sfera di interessi del colosso Citigroup.
Meriwether divenne il responsabile del settore arbitraggio obbligazionario e poi e vicepresidente della società nel 1988. Nel 1991 si dimise a seguito di uno scandalo che vide coinvolto un suo subalterno presso la Salomon, Paul Mozer, il quale fu scoperto ad ingannare il Tesoro degli Stati Uniti attraverso la negoziazione di titoli del Tesoro. Meriwether subì per questo una sanzione pari a 50 mila dollari. Se la cavò abbastanza bene.
Fu così che decise di fondare la Long-Term Capital Management (LTCM), una società di gestione di hedge fund con sede a Greenwich, nel Connecticut, che utilizzava strategie di trading a rendimento assoluto combinate con un’elevata leva finanziaria.
Un passo indietro nella metà degli anni ’70 del secolo scorso.
Già dal suo ingresso alla Salomon, Meriwether iniziò a coinvolgere studiosi di economia e finanza perché creassero modelli matematici che predicessero i prezzi di mercato e trovassero valori anomali. La strategia consisteva nell’acquistare o vendere obbligazioni quando i prezzi si discostavano dalla norma, quindi attendere che i prezzi convergessero nuovamente per realizzare un profitto. Questo gruppo fu chiamato Arbitrage Group, visto che si occupava appunto di arbitraggio in finanza.
L’arbitraggio è una metodologia finanziaria che consiste nell’acquisto e vendita simultanei di un’attività per trarre profitto da uno sbilanciamento del prezzo. È una tecnica che trae beneficio sfruttando le differenze di prezzo di strumenti finanziari identici o simili su mercati diversi o in forme diverse.
Il baldanzoso Meriweather, fondò così il suo hedge fund nel 1994 con un capitale iniziale di 1,25 miliardi di dollari. La LTCM faceva ricorso ai modelli matematici che lui stesso aveva fatto sviluppare in modo da prevedere i prezzi e – come sua convinzione – controllare il mercato.
In soli due anni, la LTCM gestiva un portafoglio di oltre 140 miliardi dollari di attività. L’azienda, fra le altre cose, si distingueva per il suo categorico rifiuto a fornire dettagli a qualsiasi banca o investitore. Non sia mai che le strategie congegnate con così tanta cura potessero essere svelate e quindi impiegate dalla concorrenza.
Le critiche al modello.
Alcuni esperti non erano convinti di questi modelli matematici basati sulla razionalità dei mercati. Siccome la società lavorava indebitandosi – i soldi che metteva in gioco erano di investitori esterni – finché le previsioni si avveravano tutto andava a posto; tuttavia, cosa sarebbe successo quando i mercati avrebbero reagito in modo irrazionale?
Ma no, le cose non potevano andare male. Meriweather e soci, tra cui i nostri eccellentissimi Nobel, erano convinti di avere scoperto la teoria del tutto del mondo finanziario e di essere quindi i padroni della terra.
Tra i critici di questo modello vi erano due signori, alquanto noti finanzieri di successo, che avevano basato tutte le loro strategie sul presupposto esattamente contrario: l’irrazionalità dei mercati. Questi due attori della grande finanza ritenevano che, essendo l’uomo un essere irrazionale ed essendo i mercati espressione delle decisioni umane, non avrebbero mai potuto comportarsi in modo del tutto razionale e prevedibile. Questi due signori sono Warren Buffett a George Soros. Giusto due tra i più grandi finanzieri della storia.
Eppure, la LTCM era florida e cresceva sempre più.
Nel 1996, l’azienda contava oltre 140 miliardi di dollari in attività. Quell’anno i profitti raggiunsero la cifra astronomica di 2,1 miliardi di dollari. Il successo era ormai planetario.
Quando nel 1997 Scholes e Merton – i cervelli dietro il successo della LTCM – vinsero il Nobel per l’economia, un coro di sicofanti si levò dai quattro angoli della terra. Subito vennero adorati come geni assoluti. Ma non tutti la pensavano così…
Il crack era in agguato.
A Wall Street tutti cominciarono a investire nell’arbitraggio obbligazionario, così la Long-Term prese a esplorare nuovi orizzonti, come l’arbitraggio azionario, gli swap e, visto che poteva contare sui i suoi potenti modelli matematici, si buttò a capofitto nelle scommesse sulla volatilità dei mercati globali. Insomma, tutto l’universo dei cosiddetti derivati. Se tutto fosse stato prevedibile, ogni cosa avrebbe potuto essere conosciuta in anticipo e trasformata in sonanti dollari. La teoria del tutto del mondo finanziario, appunto.
Preso atto che la concorrenza aumentava e i profitti si riducevano, la Long Term decise di dedicarsi soprattutto all’arbitraggio azionario, che però era molto più rischioso di quello obbligazionario, visto che gli spread potevano variare dal 4% al 10%. Una forbice piuttosto ampia.
La società stava dunque abbandonando la sua area di competenza per entrare in un mondo nuovo dove i suoi modelli matematici non sembravano così solidi e certi. In ogni caso, neppure nella loro area di competenza questi potevano dirsi ormai infallibili visto che la dura legge della concorrenza aveva determinato la riduzione dei profitti.
Un altro partner della LTCM, Larry Hilibrand, iniziò a scommettere sulle fusioni di società giocando sugli spread delle azioni. La Long Term si trovò così proiettata in un vortice di scommesse tutte a debito.
Cosa dicevano i modelli matematici di Scholes e Merton a questo riguardo? Beh, forse proprio niente.
Presero così ad investire in obbligazioni brasiliane, russe e perfino mutui danesi. Non vi dice niente tutto questo? Non avete sentito dire le stesse cose anche per la crisi del 2008? Derivati, scommesse, mutui?
Il flusso di denaro in entrata era cospicuo, fu quindi presa la decisione di rendere 2,7 miliardi di dollari ad investitori esterni e continuare a riversare altro denaro in nuovi mercati.
La prima caduta. Imprevedibile?
La caduta dei mercati asiatici portò con sé la prima grande perdita alla LTCM. Da quel momento sarebbe stata una catastrofe. Ecco la comparsa del comportamento irrazionale o comunque di qualcosa che ha a che fare con i sentimenti propri dell’uomo che nessun modello matematico può contrastare.
Il collasso dei mercati asiatici procurò una buona dose di paura negli investitori, i quali cominciarono a ritirare tutti i loro investimenti.
Che una crisi sia reale o meno, basta anche solo accennare ad una imminente ondata di peggioramento nel mercato per scatenare il panico e quindi il crollo vero e proprio.
La crisi asiatica di fine 1997 fu innescata dalle inadempienze finanziarie della Thailandia, determinando il cosiddetto effetto domino. Indonesia, Filippine, Malesia, Corea del Sud furono risucchiate in questo turbolento uragano. Il Fondo monetario internazionale intervenne per sistemare le cose ma subito dopo fu la Russia a cadere.
Investitori e banche si ritirarono e quel fiume in piena che aveva alimentato gli affari della Long Term si prosciugò ben presto. Che fine avevano fatto le soluzioni dei modelli matematici?
In cosa si riversarono dunque gli investimenti dei privati e delle banche? Manco a dirlo, sui buoni del tesoro. Questo ebbe la conseguenza di far aumentare gli spread e a cascata anche la volatilità nel mercato statunitense. Non c’era più scommessa su cui la povera LTCM non perdesse. Addio sicurezza nella infallibilità delle loro teorie. I derivati stavano creando seri problemi anche a loro che pure avevano creduto di poterli imbrigliare facilmente nei loro schemi matematici.
Ma la società e i suoi vertici si allarmarono veramente?
Frattanto la Salomon, che aveva fino a lì comunque svolto un ruolo importante nelle pirotecniche attività della LTCM, aveva cominciato a liquidare le sue attività a seguito di rendimenti alquanto mediocri. Tale liquidazione comportò l’uscita dagli affari di tanti altri investitori e la LTCM subì una perdita secca del 14% già nella prima metà del 1998.
Tuttavia, per Meriwether e soci questo non era un campanello d’allarme. Prima o poi tutto si sarebbe ripreso e il miracolo sarebbe continuato. Eppure, tutti dentro la società stavano ormai perdendo denaro, inclusi gli investitori esterni, anzi, loro per primi.
Il tonfo.
Quando la Russia crollò, nell’agosto 1998, non potendo onorare il suo debito, la Long-Term perse 553 milioni di dollari in un giorno. A causa della sua posizione dominante sul mercato, non riusciva nemmeno a vendere. Paradossale vero? Ma se sei così grande e sei pieno di titoli di ogni dove, allora non puoi non venire risucchiato dall’abisso. Da stella super massiccia ti trasformi subito in buco nero.
Il panico si diffuse e gli spread degli swap salirono a livelli incredibili.
Tanto per chiarire gli swap, i cosiddetti CDS, Credit Default Swap, sono uno strumento finanziario che consiste in un accordo tra il venditore del titolo CDS e l’acquirente. Con tale accordo il venditore compenserà l’acquirente in caso di inadempienza del debito o altro evento creditizio. In altre parole, sono una forma di assicurazione di una determinata operazione finanziaria. Quando anche i CDS diventano a rischio di insolvenza, allora il mercato è in piena crisi.
Nel mese che seguì il crollo, la LTCM perse 2 miliardi di dollari. Per cercare di tamponare, misero in giro la voce che i loro modelli indicavano che gli spread sarebbero presto scesi a livelli normali. Intanto però cercavano di vendere per rimpinguare le casse di liquidità. Quando i magici strumenti finanziari si rivelano instabili, allora trasformarli in moneta sonante è ciò che occorre.
Nessuno faceva più credito alla Long Term a questo punto. Il suo patrimonio si era ridotto a 500 milioni di dollari. Frattanto le banche cominciarono a prepararsi per il probabile default.
Nel giro di poche settimane, la LTCM si trovava a rischiare di rispondere per perdite pari a 1 trilione di dollari. Meriwether cercò disperatamente di raccogliere denaro dagli investitori ma nessuno era più disposto a dargli credito.
In caso di insolvenza della Long Term, circa una cinquantina di imprese finanziarie e banche sarebbero andate in seria difficoltà. UBS era tra le banche più coinvolte.
Ormai le carte erano scoperte, la LTCM stava fallendo. Avevano perso quasi 3 miliardi di dollari solamente in credit swap e altre scommesse sulla volatilità. Il mercato non seguiva più i loro modelli e i partner erano completamente fuori dal gioco.
Questi impavidi giocatori allora cosa fecero? Andarono a pregare Warren Buffett e George Soros per salvarli. Fu allora che la Federal Reserve si fece avanti per impedire il disastro totale.
La Federal Reserve si lancia al salvataggio.
No, certo che l’intervento della Federal Reserve della sede di New York non fu per amore di Meriwether e dei suoi soci, bensì per scongiurare la catastrofe che avrebbe trascinato altri istituti finanziari mettendo in pericolo l’economia statunitense e mondiale.
Come sempre accade in questo genere di cose, il fallimento di un così importante operatore finanziario, ha come conseguenza il possibile default di una serie di banche e società. La LTCM rischiava di trascinare nel fondo decine di istituti finanziari aprendo una crisi senza precedenti.
Qui non stiamo dicendo che i giochi della finanza comportano di per sé stessi il fallimento delle economie nazionali. Voglio precisare che non è questo il tenore con cui parlo di questa storia. Di invasati che pensano che la cosiddetta economia finanziaria sia l’origine di tutti i mali del mondo, così come di complottisti che si fanno avanti con le loro sgangherate idee, non ne abbiamo alcun bisogno. Le cose sono molto più complesse, da un lato, e più semplici dall’altro. Se la cosiddetta economia reale, cioè la produzione, non fosse sostenuta dalla finanza, la gente non potrebbe comprare automobili, appartamenti, proprietà e tante altre cose che richiedono un sostegno finanziario alla loro capacità di risparmio. Chi pensa che la finanza sia la sorella cattiva e l’economia reale la sorella buona, non ha chiaro come il sistema di produzione e circolazione della ricchezza funzioni.
Tornando alla nostra storia, l’allora presidente della Federal Reserve di New York, William McDonough, intervenne per approntare un piano di salvataggio. Undici banche coinvolte, tra cui anche la famigerata Lehman che sarebbe rovinosamente crollata dieci anni più tardi, accettarono di incassare una parte delle loro perdite. Il piano prevedeva di restituire i capitali agli investitori del fondo Genius, in modo da ridurre il rischio di contagio e di default per le altre imprese.
Malgrado ciò, e malgrado alcune delle banche rivendicarono il diritto ad ottenere maggiori indennizzi e alcuni soci stessi della Long Term si fecero avanti vantando i loro crediti, i dirigenti della società erano riluttanti ad ammettere la sconfitta e la fine dell’avventura.
All’indomani del crollo della Long Term, la maggior parte dei partner costituì nuovi hedge fund e società finanziarie.
Il salvataggio prevedeva che i soci di Long-Term rimanessero all’interno della società ancora per un certo tempo. Per quanto grave fosse la fine di questa intrepida società finanziaria, i soci continuavano a vederla come vittima di una serie di affari andati male. Non si erano posti il problema che il rischio di quelle operazioni rimaneva comunque molto alto e che l’imprevedibilità del comportamento umano condizionava – e pesantemente – l’andamento dei mercati e che quindi nessun modello matematico poteva opporre rimedio.
John Meriwether fondò in seguito la JWM Partners LLC, un altro hedge fund che finì spazzato via dalla crisi finanziaria del 2008. Non si scoraggiò e ne fondò un altro nel 2010 chiamato JM Advisors Management. Ognuno di questi fondi ha fatto uso della stessa strategia di investimento di LTCM. Niente ha più avuto il successo e i fasti di un tempo, però.
E i nostri due premi Nobel?
Un anno dopo il fallimento della LTCM, Robert Merton entrò a lavorare alla J.P. Morgan come consulente senior e amministratore delegato fino al 2001. Nel 2002 fondò una banca di investimenti chiamata Integrated Finance Limited, che poi fece una fusione con Marakon Associates. Merton lasciò la banca nel 2008. Dal 2010 è tornato ad insegnare finanza al MIT.
Myron Scholes si trasferì a San Francisco e iniziò a tenere conferenze a Stanford poco dopo il crack di LTCM. Già nel 1999 diede inizio ad un hedge fund, Platinum Grove Asset Management da cui si ritirò definitivamente nel 2011. Dal 2014 è entrato a far parte di Janus Capital come nuovo capo stratega degli investimenti.
A quanto risulta, nessuno dei due ha mai ammesso che i loro modelli matematici, per quanto abbiano mietuto successi per un certo periodo, non possono certo garantire risultati certi sempre e comunque.
George Soros e Warren Buffett, che da sempre hanno sostenuto l’imprevedibilità dei comportamenti umani e quindi dei mercati, continuano ad avere successo e non sono mai tramontati, nemmeno nei periodi più bui della finanza. Il loro sistema filosofico di riferimento – l’uomo è un essere irrazionale che non può prescindere dalle emozioni – ha permesso ad entrambi di agire in un settore così complesso e specializzato, affinando tecniche che implicano il fattore dell’imprevedibile natura umana, la quale, giammai, può essere imbrigliata dentro la rigidità di schemi logici.