Cosa intendiamo per metodo quale prassi organizzativa aziendale?
Secondo capitolo sull’argomento uomini e aziende incentrato sui processi aziendali e le interazioni umane.
La frase “il metodo quale prassi aziendale” sembra una proposizione banale, al punto da essere quasi priva di significato.
Qualcuno potrebbe infatti sostenere che è naturale che il termine organizzazione implichi in sé il metodo, ovvero una prassi che garantisca, secondo regole e processi operativi, il soddisfacimento di un lavoro o di un comportamento.
Purtroppo, però, se intendiamo per sistema azienda un’organizzazione composta di persone, risorse finanziarie, tecnologiche e conoscenze, sul piano teorico questa è sì un’organizzazione ma sul piano pratico non sempre riscontriamo quell’ordine e razionalità che dovrebbe governare i processi lavorativi. Non tutte le aziende hanno un’organizzazione tale da ottimizzare i loro processi operativi e gestionali.
Diventa quindi necessario puntualizzare che “l’organizzazione azienda” deve essere organizzata in base ad un metodo. Questo metodo non può essere scollegato dalle sue caratteristiche intrinseche e benché esistano prassi di programmazione dei processi che si basano su principi generali, ogni impresa deve personalizzare i suoi modelli operativi.
Allo stesso tempo, esistono dei miti, più o meno diffusi sulla questione del metodo. Qui ne prenderemo in esame due che risultano essere tra i più abusati.
Il metodo e la prassi nei suoi aspetti generali.
Abbiamo iniziato questo percorso mettendo in luce l’importanza di conciliare la razionalità dei processi aziendali con la naturale irrazionalità umana, ovvero la tensione dell’uomo lasciarsi andare a condotte che non seguono nessuna ragione pratica. Questo è anche uno dei motivi per cui le cosiddette teorie del complotto trovano riscontro in certe aree della popolazione; certamente, causate dal peso insostenibile di particolari condizioni sociali ma sicuramente agevolate dalla tendenza irrazionale umana.
Dato che l’uomo subisce questa tensione verso l’irrazionale, credere che agisca sempre e comunque in base a procedure standardizzate dalle quali non si deve discostare come farebbe pedissequamente un algoritmo, oltre che pura illusione è anche autentica ingenuità.
È fuori dubbio che senza un metodo, non sarebbe possibile creare i presupposti per organizzare un ciclo produttivo. Tuttavia, questo metodo non deve rappresentare un qualcosa di astratto e avulso dalle specificità dell’impresa, che innanzitutto, prima ancora che nel suo mercato di riferimento, consistono nelle persone che ne fanno parte.
Insisto sul termine persone per qualificare il personale aziendale e non uso mai risorse umane! Affronteremo poi il problema delle cosiddette risorse umane nel prossimo capitolo. Sappiate, fin d’ora, che questo termine è in disuso presso molte aziende fra le più avanzate al mondo e molto inviso soprattutto in America e nei paesi anglosassoni.
E qui veniamo al primo mito.
#1 Il mito del metodo americano.
Per qualche ragione, facilmente individuabile nel fatto che ciò che è esotico, soprattutto se proviene da quelle che il pensiero comune considera le aree più avanzate del pianeta, è indissolubilmente corretto, si pensa che le aziende americane, essendo le più avanzate al mondo, impieghino uno speciale metodo organizzativo che le rende infallibili.
Il fatto è che non esiste alcun metodo americano. Non esiste una cosa del genere, è un’invenzione di chi millanta una competenza che non ha!
Chi fa queste insinuazioni? Solitamente chi ha lavorato per aziende americane ma in Italia e sebbene non abbia mai avuto un ruolo dirigenziale, vanta chissà quali esoteriche verità.
Questa è una pratica molto italiana, purtroppo, che non ha nessun riscontro pratico se non quello di certi seducenti manager che vogliono vendersi bene a certi imprenditori poco esperti
Per questioni familiari, di studio e professionali, da lungo tempo mantengo relazioni di lavoro e di amicizia e con il mondo americano, posso perciò smentire questa insulsa menzogna.
A dir poco, si tratta di una ingenua generalizzazione.
Perché questa generalizzazione se non esiste alcun metodo americano?
Perché ci sono persone che pur di millantare questo e quello, a vantaggio della loro carriera, vi direbbero di essere state persino su Marte!
È vero che, generalizzando, gli americani – e gli anglosassoni – sono più pragmatici degli italiani e dei popoli latini. Tuttavia, basta pensare a come operano rinomate aziende americane per rendersi conto che questo “sistema americano” è pura fantasia. Amazon opera con un modello di organizzazione diverso da Google, che non impiega gli stessi metodi di Dole, che usa un approccio diverso da CarMax e così via.
Stiamo parlando di modelli organizzativi in quanto modi di definire ruoli, responsabilità e punti di controllo, per questo possiamo raffrontare tra loro imprese di settori diversi. Il metodo scientifico, si applica alla fisica così come alla biologia e a tutte le altre scienze, sebbene ognuna studi il suo oggetto.
Ma perché questi sedicenti manager dicono questa cosa?
Anzitutto, permettetemi di dire che, con il rispetto dei ruoli di ciascuno, il bidello della facoltà di economia di Harvard non insegna scienza delle finanze ad Harvard! Capite il paragone? Se ho venduto pezzi di ricambio per 20 anni per la Ford, non posso dire che ho imparato come funziona l’organizzazione della Ford e quindi applicare il fantomatico metodo americano a qualunque altra azienda. Magari, fra le altre cose, ho lavorato per 20 anni in Italia e quindi non ho la più pallida idea di come la Ford sia organizzata nei suoi stabilimenti e sedi americane.
Perché cito questo riferimento? Perché purtroppo mi è successo tante volte di imbattermi in questi personaggi e in imprenditori che sono caduti in questo errore dando a questi sedicenti manager un certo potere, col risultato che le loro aziende si sono spaventosamente burocratizzate e il personale ha finito per non capire più cosa fare.
Anzitutto, ogni popolo ha la sua cultura e gli americani non sono così idioti da non capire che in Italia sono necessarie strategie differenti. Secondariamente, ogni azienda ha le sue peculiarità, appunto – date non tanto dal settore in cui opera ma dal tipo di risorse e di persone di cui è dotata – e non si possono creare modelli che si basano su astrazioni che diventano astruserie.
Ho detto della burocratizzazione perché questi personaggi usano, come metodo (americano, sic!) quello di sviluppare una serie di procedure che ingessano l’azienda dentro schemi del tutto confacenti alle loro personali esigenze e interessi più che all’impresa. Facendo così loro mantengono un certo potere, perché ciò che è ai più estraneo richiede l’intervento di un esperto. Lungi dall’essere esperti, questi non hanno alcuna idea di come creare un ambiente di lavoro aperto e confortevole che migliora la produttività.
Negli Stati Uniti, come in ogni altro Paese, ci sono imprese fondate su principi schiavistici, dove il personale è sfruttato oltre misura, e aziende che invece operano secondo concetti di assoluta libertà, dove esistono sì le responsabilità ma non esistono gerarchie, dove il personale lavora in spazi aperti quali parchi e giardini e dove il dialogo è favorito perché è così che si realizzano le cose migliori. Ogni azienda sceglie una via, poi crea il suo metodo e modello.
Gli standard internazionali della qualità.
Avrete sentito parlare delle norme ISO, applicate in vari campi e a vari livelli, le quali ordinano una serie di processi rendendoli intellegibili e scambiabili a livello globale. Vale a dire, sono norme che delineano principi che sono validi in più circostanze e che determinano la garanzia che un processo, quindi un servizio e/o un prodotto massimizza una certa qualità.
Le norme ISO principiarono dai processi impiegati dalle forze armate americane.
La ISO (International Organization for Standardization) nacque a Ginevra nel 1947 e ad oggi rappresenta l’organizzazione più importante per la definizione delle norme tecniche impiegate in 164 Paesi.
Tuttavia, la stessa ISO nasceva per accorpare e quindi normalizzare altri due standard allora in uso, uno era chiamato International Federation of the National Standardizing Association (ISA – fondato nel 1926 e attivo fino al 1942) e l’altro era lo United Nations Standards Coordinating Committee (UNSCC – fondato nel 1944).
Le norme ISO, come ogni altro standard di qualità, non espongono però dei principi che devono essere eseguiti pedissequamente dalle aziende, bensì devono adattarsi alle caratteristiche proprie del territorio, delle persone coinvolte e del settore in cui l’impresa opera.
Se così non fosse, le università e i centri di eccellenza che studiano nuovi modelli di organizzazione aziendale, tra cui i più importanti negli ultimi 25 anni si sono avuti in Europa con l’avvento della Business Engineering in Germania e nei Paesi Bassi, farebbero pura speculazione teorica senza alcun risultato pratico. Non è così, per fortuna.
Queste tecniche organizzative sviluppano soluzioni, personalizzate sulla base delle caratteristiche dell’impresa, aiutando le aziende nella scelta dei sistemi automatizzati e di informatizzazione che non possono essere slegati dal fattore umano. Punto focale di questi modelli è creare piena coerenza tra le fasi gestite dagli algoritmi e l’intervento umano.
Questi modelli, per essere impiegati efficacemente, richiedono una formazione continua del personale e il loro coinvolgimento anche nelle fasi decisionali dei processi di produzione.
Il significato della parola metodo
Siccome il significato che abbiamo deciso di attribuire alle parole – perché ci capissimo – definisce l’approccio che abbiamo verso il mondo, è necessario chiarire come usiamo questi termini.
Metodo significa “andare dietro per ricercare” e cosa è la ricerca se non un continuo modificare e adattare le cose, le nostre opinioni e i nostri comportamenti a ciò che di nuovo scopriamo? Il metodo perciò definisce un modo ordinato, conformemente a certi principi base, di operare per raggiungere uno scopo, ben sapendo che non può essere qualcosa di stabile per lungo tempo.
Quindi, il metodo, o modello di organizzazione che decidiamo per ottimizzare i processi aziendali, non può essere un sistema rigido ed eterno. Esso deve tenere conto delle persone che vi operano e deve sapersi adattare ai cambiamenti dei tempi. Il metodo è ricerca, non è mai una verità assoluta imposta al personale che deve accettarla passivamente.
Le persone lavorano per necessità, se trovano un ambiente favorevole che le aiuta a migliorarsi, imparare cose nuove e stimolanti, allora possono anche appassionarsi. Pretendere che qualcuno lavori con piacere in un ambiente dove bisogna solo eseguire regole incomprensibili che si traducono in un intralcio anche in senso produttivo, comporta malcontento e una riduzione dell’efficienza.
Gli standard di qualità.
Ritornando agli standard di qualità, cui accennavo sopra, sappiamo che quelli standard internazionali fanno sì che il mio ciclo di produzione risponda a requisiti specifici in modo da garantire certezza sulla regolarità dell’operato dell’impresa e quindi dei suoi prodotti o servizi. L’uniformazione dei punti di controllo dello standard aiuta le imprese a comprendere la necessità di implementare processi che garantiscano la trasparenza e la conformità alle regole ma non sono posti perché siano adottati passivamente.
Nella mia lunga esperienza con le certificazioni per la qualità, posso assicurarvi di non avere mai incontrato due aziende a cui gli stessi processi potevano applicarsi in modo identico. Indovinate, qual è la variabile che richiede l’adattamento delle prassi operative? Esatto, il personale. Perché le aziende sono fatte di persone. Il metodo aiuta a fare le cose con ordine ma non raggiunge alcun risultato se i processi che prevede non sono intesi e condivisi dalle persone.
Il giusto approccio.
Il maggiore inghippo di un approccio che consideri la genericità di un metodo valido sempre e in tutti i casi, risiede in una incompetenza di base. Non uso questa parola per dileggio, la uso per quello che essa intende: inconsapevolezza di come le cose funzionano.
L’equivoco di fondo è che bisogna sfatare il mito che esistano metodi organizzativi che funzionano a prescindere dalla capacità delle persone coinvolte di intendere e tradurre un processo produttivo in prassi efficienti ed efficaci.
Le regole devono servire l’uomo non il contrario.
Il giusto approccio è perciò quello di coinvolgere il personale, chiamando ciascuno ad esporre, liberamente e senza freni, il proprio punto di vista. Coinvolgere il personale non significa comunicare ai dipendenti le decisioni prese, ma fare in modo che essi partecipino alle decisioni che riguardano il ciclo produttivo e quindi il loro operato.
Mettere poi a confronto il personale di vari reparti è molto produttivo, sia per migliorare l’interazione fra di essi, sia per evitare che si creino lotte interne. Favorire la circolazione delle idee è sempre cosa buona. Essere un imprenditore o un dirigente d’azienda illuminato non significa sapere tutto e avere una soluzione per tutto, significa capire l’importanza che le idee, di tutti, devono trovare modo di circolare ed essere prese in considerazione. Per fare questo, bisogna creare un ambiente bendisposto; il seme attecchisce e dà frutto se il terreno fertile e le condizioni ambientali sono favorevoli.
Mai pretendere di conoscere la verità
Quanto detto sopra, ci aiuta a capire che il metodo che impieghiamo per organizzare i nostri processi aziendali non deve essere mai visto come qualcosa che impieghiamo indipendentemente dalle caratteristiche della nostra azienda e tantomeno dalle persone con cui lavoriamo. Al tempo stesso, non possiamo pretendere che questo metodo diventi una prassi inalterabile nel tempo, perché mai come oggi i cambiamenti sono repentini e niente è più immutabile. La stessa mobilità del personale, richiede che i sistemi organizzativi siano adattati in base a nuove esperienze e conoscenze portate da nuove persone all’interno del ciclo produttivo.
Sostenere di adottare un modello organizzativo valido per tutti, in ogni tempo e luogo, significa basare la propria storia imprenditoriale sul concetto di verità assoluta. Ovvero, sostenere di sapere come poter guidare ogni situazione ed evento e che questa conoscenza si costruisca su una verità ultima e immutabile.
La verità è un concetto alquanto impegnativo, fuorviante e vive su un terreno molto scivoloso.
Noi Europei, e in particolare italiani, deriviamo la nostra concezione del mondo dalle due grandi culture che hanno segnato la nostra civiltà: quella giudaico-cristiana e quella greca.
Nella cultura giudaico-cristiana il senso più importante è l’udito, perché la parola di Dio si ascolta e la si recepisce come è, non la si mette in discussione. Si può ragionare, si può approfondire, si può cercare di ravvisarne il significato intimo – come fa la teologia da secoli – ma non la si può mettere in discussione. Dio è verità, dà la verità e questa va accettata e vissuta tramite l’ascolto e la messa in pratica dei suoi precetti. Questo è l’approccio di tale concezione del mondo.
Per i Greci, invece, è l’occhio, quindi la vista, l’organo e il senso più importante, perché è solo investigando, quindi osservando la natura che se ne possono cogliere le sue leggi e creare civiltà e progresso. Le scienze sono nate in Grecia, infatti. La conoscenza è data dall’osservazione e dalla messa in discussione di ciò che osservo e sperimento. Ciò significa che per la cultura greca non esiste una verità assoluta. Essa, la verità, non è eterna e va bene finché non è contraddetta. È perciò una verità storica, mai universale e incondizionata.
Semplificando, per dirla con il filosofo della scienza Karl Popper, una teoria è scientifica se può essere confutata, altrimenti diventa dogma. Non solo dogma e scienza sono antitetici, lo sono anche dogma e impresa. Se impresa significa, come significa, attività economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni o di servizi, il criterio di instabilità è insito nella sua definizione. Impresa indica infatti “intento di compiere un incarico, svolgere un lavoro”, il termine stesso implica dunque l’esecuzione di un processo che, di per sé, non può assicurarne il successo.
Non si sta dicendo che l’imprenditore o il dirigente sono o devono essere scienziati. Stiamo dicendo che l’approccio corretto è quello dove la verità accettata è considerata valida come realtà momentanea, essa va bene fino a quando non emergerà qualcosa che la contraddica e che funzionerà ancora meglio della precedente.
Come in ogni comunità umana, quindi, anche in azienda è necessario mettersi attorno gli uni agli altri e dialogare. Dialogare, anche questa parola è di derivazione greca – che è certamente sempre meglio che prendersi a pugni – però non significa dire tutti le stesse cose e quindi andare perfettamente d’accordo, dialogare significa discorso alterno tra due o più persone, ovvero, diversità di vedute. Quindi il dialogo, non è essere d’accordo, è manifestare idee e pareri tra loro distanti e perfino contrastanti.
È così che nascono le migliori soluzioni, non quando tutti acconsentiamo in modo servile alle parole di un capo.
Quando decidiamo un processo di lavoro, elaboriamo una nuova strategia, facciamo nuovi progetti, dobbiamo farlo coinvolgendo le persone. Seppure nella fase iniziale la direzione discuta il progetto senza interpellare il personale, è bene che la fase di costruzione del piano sia condivisa e discussa almeno con coloro che nel processo aziendale saranno coinvolti. A questo punto dobbiamo prepararci al dialogo, dobbiamo cioè essere pronti – e io dico anche richiedere – i punti di vista discordanti, le obiezioni, le perplessità delle persone che ne prenderanno parte.
Ciò a cui dobbiamo arrivare è una soluzione che sia buona – in questo senso vera – ed efficace per l’azienda, non è mai un atto di fede dove si impone una verità assoluta che non può essere sindacata.
Conclusioni.
Possiamo sintetizzare quanto detto sopra in modo molto semplice e immediato.
Non esistono modelli infallibili e definitivi. Dobbiamo conoscere al meglio le persone che lavorano con noi e dare loro modo sentirsi utili e attivi. A partire da qui e tenuto conto delle specificità della nostra impresa, costruiremo il miglior modello organizzativo.