Il traduttore di Google e lo strano caso di Omar Cruz-Zamora

Il traduttore di Google si può rivelare uno strumento utile in certi casi ma dal punto di vista legale anche molto pericoloso, almeno secondo una corte di giustizia statunitense.

Premessa.

La traduzione automatica di lingue straniere è senza dubbio una cosa molto utile, ma se volete usarla per qualcosa di più che ottenere indicazioni o raccomandazioni per un ristorante, la sua superficialità è una vera barriera. E quando si tratta della legge e dei diritti costituzionali, una traduzione “abbastanza buona” non è soddisfacente, secondo quanto stabilito da un giudice americano.

La sentenza (qui è possibile scaricare il file originale) è indicativa dell’evoluzione delle applicazioni di traduzione. Esse sono largamente usate da quasi tutti e, ovviamente, il loro uso ha una ricaduta nei nostri sistemi legali. Viviamo in una società multilingue dopotutto, ma al momento, e per molto tempo in avanti presumibilmente, sembra che gli umani siano ancora necessari per colmare le lacune linguistiche.

Il caso.

Il caso in questione riguarda un uomo messicano di nome Omar Cruz-Zamora, che nell’autunno del 2017 era stato fermato da alcuni poliziotti in Kansas. Quando gli zelanti uomini di legge hanno perquisito la sua auto, con il suo consenso, hanno trovato una certa quantità di metanfetamine e cocaina ben oltre l’uso personale, che naturalmente ha portato al suo arresto.

Il cavillo legale.

Ma ecco l’inghippo: Cruz-Zamora non parla bene l’inglese, quindi il consenso per la perquisizione dell’auto è stato ottenuto tramite Google Translate – uno scambio linguistico che il tribunale ha ritenuto non sufficientemente accurato per costituire un consenso dato “liberamente e consapevolmente. ”

Insomma, in periodo di GPDR, diremmo che il consenso non è stato ottenuto in modo informato, l’uomo non ha infatti capito i suoi diritti e pertanto quanto si è poi susseguito ne è stato viziato.

Il quarto emendamento della costituzione degli Stati Uniti d’America, proibisce infatti la ricerca e il sequestro senza una ragione ben precisa e, in mancanza di un mandato o di una causa probabile, gli agenti hanno quindi detto a Cruz-Zamora che poteva rifiutarsi di lasciarli perquisire la macchina. Il problema è che non si evince dallo scambio linguistico mediato dal traduttore di Google se il cittadino messicano abbia veramente compreso i suoi diritti.

Non solo, ma le traduzioni effettive fornite dall’app di Google non erano sufficienti per comunicare con precisione la domanda. Ad esempio, l’agente ha chiesto “¿Puedo buscar el auto?” – il cui significato letterale è più vicino a “Posso trovare l’auto?” (in Inglese “Can I find the car?), non “Posso perquisire l’auto?” (in Inglese Can I search the car?). Queste traduzioni sono quelle riportate nel caso in questione. Non ci sono prove che Cruz-Zamora abbia inteso la connessione tra il significato letterale ma insensato in spagnolo — lui ha infatti capito “Posso trovare l’auto?” — e la vera domanda se avesse acconsentito a una ricerca, figuriamoci se avesse capito che aveva una scelta.

Il traduttore di Google non traduce “search”, in questo caso, con il verbo spagnolo “cachear” e nemmeno “registrar”, nello spagnolo castigliano “hacer un registro” significa fare una perquisizione. Insomma, secondo il giudice americano, le parole usate non hanno dato modo a Cruz-Zamora di intendere cosa gli venisse richiesto.

Pertanto, la corte ha annullato il consenso alla perquisizione per manifesta incomprensione e violazione dei diritti della persona, in questo caso cittadino messicano. Di conseguenza, la perquisizione risulta essere incostituzionale e le accuse contro Cruz-Zamora sono così cadute.

In conclusione.

Ciò non significa che sia impossibile ottenere il consenso informato tramite Google Translate o qualsiasi altra app. Ad esempio, se Cruz-Zamora avesse aperto lui stesso il bagagliaio o gli sportelli dell’auto per consentire la perquisizione, ciò avrebbe probabilmente costituito consenso consapevole e informato, vale a dire, lui aveva capito benissimo cosa gli era stato chiesto.

Questo esempio ci dimostra che le interazioni basate su app non sono una cosa sicura. E sarà un caso da tenere in considerazione non solo per le forze dell’ordine, almeno quelle statunitensi, che indagano o anche cercano di aiutare persone che non parlano inglese, ma anche nei tribunali.

I fornitori di servizi di traduzione automatica vorrebbero farci credere che i loro software rendono traduzioni sufficientemente accurate da poter essere utilizzate nella maggior parte dei casi e che in pochi anni sostituiranno i traduttori umani in tutte le situazioni, tranne forse quelle più impegnative.

Questo caso suggerisce che la traduzione automatica può fallire anche con i test di base, e finché tale possibilità rimane, dobbiamo mantenere un sano scetticismo.

Soprattutto, vi sconsigliamo vivamente di usare qualunque app di traduzione per tradurre i contenuti del vostro sito web. Non fatelo mai, per nessuna ragione!

 

 

 

 

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