Un recentissimo studio pubblicato il 30 Ottobre scorso sul Journal of Cleaner Production, riporta un nuovo metodo sviluppato da ricercatori dell’Università di Bristol e del centro Rothamsted Research nel Regno Unito, per calcolare l’impatto ambientale dell’allevamento di bestiame al pascolo.
Il metodo è basato sulla valutazione della c.d. Carbon Footprint (Impronta di Carbonio) calcolata in termini di chilogrammi di CO2 e CO2 equivalente.
Più precisamente, la Carbon Footprint (impronta di carbonio) è definita come l’insieme dei gas serra emessi da un gruppo, organizzazione o individuo. I gas ricadenti in questa categoria sono: CO2, CH4, Ossido nitroso N2O, Idrofluorocarburi HFCs, Perfluorocarburi PFCs e Esafloruro di zolfo SF6.
La nuova metodologia registra separatamente l’impatto ambientale di ciascun animale prima di calcolare il peso complessivo di un allevamento.
I metodi in uso per il calcolo dell’impronta di carbonio sono principalmente concepiti per quantificare le emissioni totali di gas ad effetto serra (GHG) di una determinata azienda e pertanto non sono in grado di fornire informazioni sull’impatto ambientale di singoli animali o gruppi di essi.
La capacità di identificare bestiame “verde” all’interno di un allevamento – ad esempio, bovini che producono emissioni minori per chilogrammo di peso – promettono un’agricoltura più sostenibile.
Il gruppo di ricerca ha applicato sia i metodi nuovi che quelli tradizionali ai dati raccolti nella zona presso la North Wyke Farm Platform (NWFP), una struttura all’avanguardia del centro Rothamsted Research che ospita tre aziende sperimentali di oltre 63 ettari nella contea di Devon, sud ovest dell’Inghilterra.
Lo studio ha dimostrato che l’approccio tradizionale sottovaluta costantemente i livelli di emissioni di GHG (gas serra) perché non riesce a considerare in misura sufficiente gli impatti del bestiame che presenta delle disfunzioni. Questi animali, infatti, sono noti per produrre quantità considerevoli di metano mediante fermentazione enterica.
Il dottor Taro Takahashi, ricercatore presso la North Wyke e docente di sistemi di allevamento sostenibile e sicurezza alimentare presso la Bristol Veterinary School, che ha guidato la ricerca, afferma che lo studio in questione rivela almeno due importanti fattori chiave. Il primo è che le stime a breve termine di molte emissioni di carbonio attualmente disponibili sono probabilmente troppo basse, il che rappresenta una cattiva notizia per l’industria. Come secondo punto, tuttavia, si può sostenere che a lungo termine la mitigazione delle emissioni di gas serra provenienti dai ruminanti potrebbero essere rese più semplici, se siamo in grado di selezionare gli animali giusti attraverso i metodi di screening giusti. Questo è in sostanza, sostiene il dottor Takahashi, quello che si sta cercando di raggiungere presso la North Wyke.
Il lavoro ha anche segnato la prima valutazione completa dei tre sistemi di produzione della North Wyke. “Questo studio dimostra il vero valore dei dati primari raccolti dal team NWFP giorno per giorno”, spiega Paul Harris, responsabile del progetto dell’impianto. “Queste evidenze rappresentano una sfida per migliorare la nostra comprensione di come possiamo rendere l’agricoltura più sostenibile”, sostiene Harris.
Questi risultati vengono alla luce mentre il dibattito sul ruolo dell’allevamento di bestiame in una produzione globale di cibo che deve essere sostenibile va sempre più intensificandosi.
In una relazione pubblicata lo scorso Ottobre, la Food Network Climate Research Network (FCRN) ha ribadito che l’allevamento di bestiame è un evidente contributo al riscaldamento globale a prescindere dalla specie e dal metodo di allevamento.
“Siamo d’accordo con la relazione FCRN che i ruminanti non possono invertire i cambiamenti climatici, anche se sono alimentati da erbe al pascolo”, spiega Michael Lee, responsabile della North Wyke e professore di sistemi di allevamento sostenibile presso la Bristol Veterinary School. “Tuttavia, come abbiamo discusso nel nostro articolo del 2014 su Nature, i sistemi di allevamento di bestiame al pascolo hanno un ruolo molteplice nella società – cosa che il rapporto FCRN ha riconosciuto ma non ha esaurientemente affrontato.
Lee dichiara che il Centro Ricerche Rothamsted, non solo intende promuovere la conoscenza su come ridurre al minimo gli impatti negativi della produzione agricola in generale, ma anche su come ottimizzare il contributo positivo che l’allevamento al pascolo può apportare in quanto parte di una ben organizzata filiera di produzione alimentare. Lee specifica inoltre che tali aspetti includono l’uso efficace di terreni inadatti per la coltivazione delle colture, la produzione di proteine di qualità superiore e altri micronutrienti biodisponibili, il miglioramento del benessere degli animali, il miglioramento delle comunità rurali e la prevenzione delle inondazioni. Tutto ciò contribuisce allo sviluppo di una concreta futura produzione alimentare sostenibile.
Materiale per cortesia dell’Università di Bristol, Regno Unito
Riferimenti: G.A. McAuliffe, T. Takahashi, R.J. Orr, P. Harris, M.R.F. Lee. Distributions of emissions intensity for individual beef cattle reared on pasture-based production systems. Journal of Cleaner Production, 2017;