Siamo prossimi ad una crisi alimentare?

I sistemi complessi non ammettono soluzioni semplicistiche e la loro comprensione è controintuitiva.

Quante volte in giro sentiamo dire che il riscaldamento globale è una bufala perché spesso accade che in periodi notoriamente temperati arrivi un’ondata di freddo e pioggia. È successo giusto pochi giorni fa in gran parte d’Europa, incluso nord, centro Italia e Sardegna.

Eppure, è proprio così, il cambiamento climatico e l’innalzamento delle temperature provoca questi fenomeni bizzarri. Il clima è un sistema complesso e non possiamo valutarlo con un ragionamento lineare. Non funziona!

Ebbene, anche il sistema di produzione e distribuzione alimentare è un sistema complesso.

Non solo. Questo sistema somiglia sempre di più al sistema finanziario internazionale. Ricordate cosa successe nel 2008? No. Non ci fu nessun complotto, nessuna strategia per impoverire nessuno. Il modo di produzione adottato in tutto il mondo – quello che chiamiamo capitalismo – è un sistema economico che si basa sullo sfruttamento delle risorse e delle persone e non c’è bisogno di alcuna oscura cospirazione perché questo faccia crack di tanto in tanto. Chi sa di economia è in grado di capire cosa intendo. Chi non sa, sappia che – detto molto in breve – sovraccumulazione di capitale, tendenza del saggio di profitto a diminuire, fallimenti sistemici, assenza di regolamentazione e talvolta perfino sovra-regolamentazione, danno luogo a crisi sistemiche che diventano contagiose per l’economia globale.

Scienziati di varie discipline hanno da tempo avvertito dei rischi connessi alla produzione alimentare.

Aumento dei prezzi e inflazione

Molti ormai sanno che l’inflazione tende a verificarsi a seguito di un aumento dei prezzi, i quali aumentano, spesso, a causa di maggiori costi nella filiera di produzione e distribuzione. Ovviamente, anche un aumento della domanda causa inflazione, giacché questo è indice del fatto che i consumatori sono disposti a pagare di più per i prodotti e servizi in commercio.

Ultimamente, l’aumento dei prezzi ha riguardato tutti i settori dell’economia incluso quello alimentare.

Questo aumento è un indicatore di instabilità sistemica? La risposta breve è sì!

Non è solo la guerra tra Ucraina e Russia ad avere causato gli aumenti. Il problema era già sorto, poi semmai si è aggravato.

Alcuni dati sulla fame nel mondo

La FAO – Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – fornisce dati dettagliati al riguardo della condizione di sottonutrizione nel mondo

Per un certo periodo, dal 2005 al 2014, il numero delle persone che soffrivano la fame era sceso da oltre 800 milioni a 607 milioni. Dal 2015 la tendenza è però ritornata al rialzo. Nel 2019 il numero di persone denutrite era 650 milioni mentre nel 2020 un numero tra i 720 e gli 811 milioni.

La stima per il 2021 sembra essere peggiore e così per l’anno in corso.

Quando si discutono queste stime, sarebbe bene ricordarsi che stiamo parlando di esseri umani. Dire che tra il 2002 e il 2004 il numero di persone denutrite oscillava tra circa 840 e 836 milioni fa inorridire, perché uno solo sarebbe stato troppo, 4 milioni sono una enormità! Precisando, giustamente, che non è colpa di chi fa le stime se queste non sono precise all’unità.

Dall’abbondanza alla penuria?

Nel nostro mondo produciamo tante cose in abbondanza, tra queste anche cibo e bevande. Stupisce che vi siano così tanti poveri e denutriti, non è vero?

Dieci anni fa durante una consulenza per il controllo di gestione e il piano finanziario di una cooperativa produttrice di vini, feci una ricerca di settore, uno dei risultati più eclatanti era il seguente:

in quel periodo si producevano nel mondo 36 miliardi di bottiglie di vino da 0,75 litri ciascuna. Di queste, ne venivano vendute nei circuiti della distribuzione commerciale 31,4 miliardi, la differenza – 4,6 miliardi di bottiglie – rimaneva invenduta presso i produttori. È chiaro quanto detto? Ovvero, “vendute nei circuiti della distribuzione commerciale” non significa comprate dai consumatori, bensì vendute dai produttori ai commercianti. Fonti: FAO – Bloomberg – Market Watch

Il 2021 ha registrato uno dei raccolti di grano più abbondanti di sempre. Tuttavia, il numero di persone in stato di denutrizione è aumentato mentre i prezzi nel mercato alimentare tendevano a scendere. Nel 2014 il numero di persone denutrite era al minimo negli ultimi 20 anni, con un indice globale dei prezzi alimentari pari a 115 punti. Nel 2015 questo indice è sceso a 93 ed è comunque rimasto sotto 100 fino al 2021.

Sorprendentemente, il numero delle persone denutrite ha cominciato ad aumentare proprio mentre i prezzi alimentari mondiali hanno cominciato a scendere. Nel 2014, quando il numero delle persone denutrite era al minimo, l’indice globale dei prezzi alimentari si è attestato a 115 punti. Nel 2015 è sceso a 93 ed è rimasto sotto 100 fino al 2021, vedi FAO

Ad aprile 2022 siamo a 158.5 in leggera discesa rispetto al massimo storico registrato a marzo di quest’anno (159.7).

Pertanto, abbiamo abbondanza e i prezzi alimentari aumentano causando inflazione. Nei paesi cosiddetti ricchi molte persone fanno fatica a mantenere uno standard alimentare adeguato, nei paesi poveri la situazione sta diventando devastante.

Dunque, cosa sta accadendo?

Come detto sopra, il mondo finanziario è un sistema complesso e così lo è anche quello della produzione e distribuzione alimentare ormai. I sistemi complessi si distinguono particolarmente per essere organismi che danno luogo a innumerevoli interazioni, tutto sta dentro una enorme rete di correlazioni e non è per niente facile operare un controllo e tantomeno fare previsioni. Questo fenomeno è alimentato, chiaramente, dal sistema economico in essere, perché è in esso che tutto nasce e diviene.

I sistemi complessi, a loro volta, presentano una certa resilienza – ovvero, una certa capacità di essere elastici e di recuperare da momenti di forte stress – a determinate condizioni, quindi, trovano una certa stabilizzazione. Purtroppo, non sempre queste condizioni si verificano. Quando l’indice di stress aumenta, si verificano dei veri e propri choc di mercato lungo tutta la filiera e, a cascata, lungo l’intera rete mondiale. Se questi traumi giungono oltre una soglia critica, il sistema rischia di collassare in modo improvviso e inaspettato. Questi choc, o traumi se preferite, sono causati da molteplici fattori di stress: problemi nei trasporti, crisi energetiche, eventi bellici, decisioni politiche e/o economiche disastrose, calamità ambientali, clima, etc. Non è mai solo uno di questi fattori ma una concomitanza di essi.

La rete, i nodi e i collegamenti

Il sistema alimentare è una rete mondiale e questa rete, come quella finanziaria, energetica, etc., è costituita da una maglia fatta di nodi e collegamenti. I nodi sono come le legature della maglia mentre i collegamenti sono come i fili che li uniscono.

Nella rete alimentare i nodi sono costituiti dalle multinazionali dei cereali, delle sementi e dei fertilizzanti e farmaci per l’industria agricola, così come ne fanno parte i grandi esportatori, importatori e gli hub logistici e di trasporto dove queste merci viaggiano, ad esempio i grandi porti. I collegamenti sono dati dai rapporti che queste grandi imprese hanno con la distribuzione commerciale e con le varie figure istituzionali (governi, enti, banche).

Ora, la teoria dei sistemi ci dice che se i nodi assumono comportamenti diversificati – cioè non si comportano tutti allo stesso modo – e i collegamenti tra di loro sono deboli, vi è un’alta probabilità che il sistema sia resiliente. Al contrario, se alcuni nodi diventano dominanti e si comportano in modo simile – cioè le imprese creano cartelli e conglomerati – i loro collegamenti diventano forti e il sistema diventa fragile. Sembra controintuitivo, vero? Eppure, è così.

Immaginate per assurdo che tutta la conoscenza scientifica sia contenuta in un unico computer. Cosa succederebbe se quel computer si distrugge? Chiunque di noi organizza, saggiamente, i suoi dati su più supporti. Non conviene mantenere tutte le uova in un unico paniere.

Se un’impresa di uno di questi giganteschi agglomerati comincia ad avere problemi, la probabilità che infetti il suo sistema è alta e purtroppo – dati gli intrecci globali – la probabilità che altri agglomerati ne siano infettati è altrettanto alta. A maggior ragione, ne sono contaminate e rovinate tante altre realtà economiche più piccole che dipendono da queste reti multinazionali.

Cosa è successo infatti con la crisi finanziaria del 2008? E cosa sta accadendo ora con la crisi energetica, dei trasporti, etc., non è forse lo stesso?

Nel 2008 le istituzioni finanziarie facevano leva sulle stesse modalità operative, stesse gestioni del rischio, stesse fonti di profitto. Caduta una, le altre si sono trovate invischiate. Allora le autorità non capirono questo fenomeno per tempo e non crearono sistemi di regolamentazione capaci di prevenire certi rischi. Ugualmente, ora sta accadendo nel comparto agroalimentare.

Controllo commerciale

Chiunque si occupa di agro-economia e sviluppo agroalimentare, almeno a certi livelli, vede e sa che le strategie dei grandi gruppi sono convergenti, inoltre non esistono politiche e pratiche di controllo della ridondanza e di alleggerimento attraverso la modularità. Se un sistema manca di modularità – ed è invece costituito in un unico blocco (o insieme) – ogni modificazione di una delle sue componenti determina il resto, a volte nel bene ma anche nel male.

Da qui il contagio globale del sistema alimentare è solo una questione di quando non di se…

Il commercio mondiale dei cereali è controllato al 90% da sole quattro aziende: Cargill (USA), Archer Daniels Midland ADM (USA), Bunge (Olanda), Louis Dreyfus (Francia).

In meno di 20 anni i collegamenti commerciali tra gli esportatori e gli importatori di cereali e riso sono raddoppiati. Stiamo assistendo ad una polarizzazione tra Paesi importatori ed esportatori. Questi traffici commerciali sono a loro volta ben definiti e accentrati: il canale di Suez, canale di Panama, stretto di Hormuz (penisola Arabica e Iran), Dardanelli e Bosforo (Turchia, ora impediti dal conflitto Russia Ucraina), Bab-el-Mandeb (penisola Arabica e Yemen) e Malacca (Sumatra e penisola Malese)

Diversificazione e standardizzazione alimentare

Quante volte avrete sentito lo slogan “Think globally, act locally” – Pensa globale, agisci locale. Come molti degli slogan che vengono propinati di tanto in tanto, bisognerebbe riflettere sul significato delle parole e sulle implicazioni, non fosse altro perché ne va della vita delle persone, non una cosa da poco!

Così, avrete probabilmente sentito parlare anche della Global Standard Diet, la dieta standard globale creata affinché si cerchi di mangiare tutti le stesse cose. Negli ultimi 25 anni, la diversificazione locale del cibo si è intensificata più o meno dappertutto, sono arrivati i vari cibi e ristoranti orientali, sudamericani, africani ma, per converso, a livello globale il cibo è molto meno diversificato rispetto a prima. Basti pensare che il 60% delle coltivazioni è costituito da soli 4 tipi vegetali: frumento, riso, mais e soia. Queste produzioni, inoltre, sono concentrate in pochi Paesi, due di essi sono proprio Russia e Ucraina. Fonte AGU

Se vi chiedete chi sono i maggiori attori della dieta globale standardizzata, questi sono chiaramente le stesse multinazionali che comandano il mercato delle sementi, cereali, fitofarmaci e fertilizzanti, macchinari per l’agricoltura e l’allevamento. Cioè quelle multinazionali che con i loro potenti agglomerati e forti connessioni creano le premesse per una catastrofe alimentare mondiale.

Il passaggio dalle scorte ai flussi

La produzione alimentare gestita in questo modo dischiude un mondo di interessi e di forti illusioni di grandi affari per tanti operatori, mentre altri – insieme ai consumatori di tutto il globo e alle persone dei paesi poveri – ne subiscono i danni.

Se i sistemi creati dalle multinazionali controllano produzioni, traffici e infrastrutture, molte barriere commerciali crollano, strade, porti e aeroporti sono resi più efficienti, la rete in generale si snellisce. Non c’è più bisogno di fare grandi scorte da stoccare, ci pensano loro, per cui si passa dalle scorte ai flussi di merce. Molti commercianti, di conseguenza, abbattono tanti costi di gestione e hanno la merce recapitata in tempo (just in time è un altro slogan che va per la maggiore oggigiorno). Inoltre, queste multinazionali vantano tutte le certificazioni possibili e immaginabili; quindi, i consumatori si sentono anche più sicuri: il cibo e le bevande sono prodotti secondo standard igienici molto elevati. Ne siamo davvero certi? No, non è così ma di questo parleremo eventualmente un’altra volta.

Però, cosa accade se ci sono problemi nella rete di trasporti? Se i costi energetici aumentano a dismisura? Se si innescano conflitti non facilmente risolvibili nel breve termine che influenzano negativamente la filiera? Queste cose sono già successe e hanno comportato vari problemi di approvvigionamento. Tanti scaffali sono rimasti vuoti in molte città di molti Paesi occidentali. La situazione non è degenerata, per ora, ma ha presentato tutta la sua suscettibilità di possibili scenari di tracolli a cascata.

Anche durante i primi lockdown dovuti alla pandemia da Covid-19 abbiamo assistito a negozi alimentari con scaffali vuoti.

Sulla famosa rivista scientifica Nature, è stata pubblicata una ricerca a fine gennaio 2019 – era pre-covid – dal titolo abbastanza eloquente: Food production shocks across land and sea – Shock della produzione alimentare attraverso terra e mare.

Conclusioni

I problemi da risolvere sono parecchi e soluzioni semplicistiche non possono essere adottate.

Bisogna sempre avere un occhio puntato sul clima e la questione energetica, ma bisogna tornare ad un sistema diversificato di produzione sia a livello geografico che di specie vegetali e di tecniche colturali. In questo modo, il sistema si sta dimostrando del tutto inadeguato e inefficiente.

Rimarco, ancora una volta, che in un periodo di grande abbondanza, nei paesi poveri il numero dei denutriti è in aumento e nei paesi occidentali sempre più persone fanno difficoltà ad acquistare cibo.

Una delle curiosità – tragiche e tragicamente comiche – di questo periodo bellicoso, è rappresentata dalla dichiarazione velleitaria dell’India la quale poche settimane fa aveva sostenuto di poter sopperire all’insufficienza alimentare mondiale causata dal conflitto Russo Ucraino, salvo fare un passo indietro dopo che i raccolti delle sue produzioni hanno subito ingenti danni a causa di un’ondata devastante di caldo.

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