Molti agricoltori coltivano mais e soia in rotazione per evitare le sanzioni ma ora c’è un altro motivo per alternare le colture. Gli scienziati dell’Università dell’Illinois hanno fornito ulteriori prove del fatto che le colture a rotazione aumentano la resa e riducono le emissioni di gas serra rispetto alla coltivazione continua di mais o soia.
“Penso che gli agricoltori nel mondo di oggi stiano cercando più ragioni motivi per evitare di coltivare in monocultura, stanno cercando di diversificare e alternare i loro sistemi di coltivazione. Se lo fanno in parte per l’ambiente, bene, perché contribuisce a diminuire i gas serra e potrebbe potenzialmente portare ad un sostanziale aumento del rendimento delle colture stesse”, afferma Gevan Behnke, ricercatore e dottorando nel gruppo di ricerca di Maria Villamil nel Dipartimento di scienze agrarie dell’Università dell’Illinois.
Il nesso tra la rotazione delle colture e i gas serra.
Ci sono altri studi che esaminano il nesso tra la rotazione delle colture e le emissioni di gas serra, ma lo studio di Behnke è unico in almeno due aspetti.
In primo luogo, ha analizzato le emissioni di gas serra prodotte da campi coltivati a mais e soia a ciclo continuo, e alternati mais-soia ruotato o soia-mais, lavorati con la tecnica tillage (lavorazione del terreno, dissodamento e aratura) e no-tillage (non lavorazione del terreno tramite semina su sodo) per un periodo di 20 anni.
Rendimento e emissioni.
“Questo tipo di lavorazioni protratte per lungo tempo conducono a una certa stabilità, a volte non si vedono gli impatti della rotazione o della lavorazione per anni dopo che tali pratiche sono state imposte. Questo è uno dei punti salienti di questo studio”, afferma Behnke.
Il confronto tra la rotazione mais e soia e il mais a ciclo continuo ha mostrato un beneficio medio di rendimento superiore al 20% e una riduzione cumulativa delle emissioni di protossido d’azoto di circa il 35%.
Effetti.
Il protossido di azoto è un gas serra estremamente potente, con un potenziale di riscaldamento globale – ovvero la quantità di energia termica che un gas serra intrappola nell’atmosfera – quasi 300 volte più elevata del biossido di carbonio. È un sottoprodotto del processo di denitrificazione, durante il quale i batteri nel terreno trasformano il nitrato in gas azoto inerte. Non sorprende che le emissioni di protossido di azoto siano legate alla velocità e ai tempi di applicazione del fertilizzante azotato.
“I livelli di ossido di azoto erano alti all’inizio della stagione e inferiori alla fine, in genere gli agricoltori applicano il fertilizzante in primavera così che la coltura possa incamerarlo per tutta la stagione”, afferma Behnke. “E’ quello che solitamente fanno gli agricoltori e sono questi i risultati che intendono conseguire.”
Per la soia, che non viene fertilizzata, la rotazione non ha influito sulle emissioni di protossido di azoto rispetto alla soia a ciclo continuo. La rotazione ha aumentato il rendimento della soia di circa il 7% tuttavia.
Lavorazioni del terreno.
La lavorazione del terreno (tillage) non ha avuto impatto sulle emissioni di gas serra, ma la pratica ha dato al mais un margine di circa 15 bushel per ettaro rispetto al mais coltivato con il no-tillage. Behnke avverte però che tale effetto potrebbe non applicarsi alle aziende agricole al di fuori dell’area di studio, a causa della tipicità del luogo (condizioni climatiche, ambientali, etc.) in cui la ricerca è stata effettuata.
Lo studio è stato condotto presso il Northwestern Illinois Agricultural Research and Demonstration Center vicino a Monmouth, su alcuni dei terreni più produttivi al mondo, Behnke assicura infatti che qui i raccolti di mais sono più alti che in qualsiasi altro posto. Ovviamente, maggiori rese significano più superficie residue.
“Se parli con persone che lavorano nel centro di ricerca di Monmouth, diranno che è difficile coltivare con la tecnica no-tillage nel lungo periodo, è come coltivare una sorta di pacciame denso”, puntualizza Behnke e aggiunge che “Altri luoghi non sono così fortunati quando si parla di biomassa e ritorno di materia organica al suolo”. Infine, il ricercatore precisa che altri studi che confrontano la tecnica di lavorazione del terreno (tillage) con la non-lavorazione (no-tillage) nel mais in genere non mostrano grandi differenze in termini di resa.
Dati della ricerca
Fonte: Illiniois Experts
Gruppo di Ricerca: Gevan Behnke, Stacy Zuber, Cameron Pittelkow, Emerson Nafziger, Maria Villamil, Dipartimento di Scienze Agrarie, College of Agricultural, Consumer and Environmental Sciences at University of Illinois, Urbana